Levatrici, il libro di Rosanna Basso sull’assistenza ostetrica

12646993_1048663301820579_3420473941527023145_nPresentazione della direttrice della Biblioteca Arcivescovile «Annibale De Leo», Katiuscia di Rocco, per la Gazzetta del Mezzogiorno del 17 febbraio 2016 di “Levatrici” il libro di Rosanna Basso che affronta il tema dell’assistenza ostetrica nell’Italia liberale.

18 gennaio 1796 “Cielo limpido e bello. Da casa della Sig.ra Moore chiamata alle ore 10 del mattino per andare a vedere la moglie del Sig. Hinkley. Essa ha partorito alle ore 11 un figlio. Ho aiutato solo in parte a vestire il piccolo perché sono stata avvisata di tornare dalla Sig.ra Moore. Trovatala ancora più sofferente. Essa ha partorito alle ore 4,30 minuti un figlio. Questi bambini sono i primi delle loro mamme. Tornata a casa alle 8 di sera. Ho fatto i letti, lavato i piatti, spazzato casa e preparato cena. Mi sento un poco affaticata”», Ulrich Laurei Thatcher, A midwife’s tale: thelife of martha ballard based on her diary, 1785-1812 (Vintage Books, Random House Publishers, 1991).

Tradizionale mestiere femminile era la levatrice, frutto di una cultura secolare, dell’esperienza diretta di donne, basato su conoscenze del corpo femminile secondo convinzioni empiriche, ascientifiche. La levatrice nella civiltà contadina, poiché aiutava a dare la vita, godeva di un grande prestigio e di una grande autorità eppure è una storia piuttosto trascurata dalla storiografia italiana, ma decisiva per comprendere pienamente il ruolo delle donne e dell’istituzione della famiglia nell’Italia postunitaria.

Oggi con il libro di Rosanna Basso, Levatrici. L’assistenza ostetrica nell’Italia liberale (Viella) emerge la complessità, le sfumature e talvolta le contraddizioni dei modelli femminili. Lo Stato unitario, per far fronte alla scarsa presenza di levatrici, al disinteresse dei medici per il settore ed alla necessità di debellare pregiudizi e malsane abitudini (la morte per parto era allora diffusa, come la febbre puerperale ed altre patologie dovute a scarse precauzioni igieniche, talvolta anche della stessa levatrice), ricorse alle giovani, ritenendole indicate ad entrare nelle case e a parlare alle donne, e si adoperò per creare un’ostetrica istruita, fiduciosa nella medicina ed atta alle pratiche popolari, quasi magiche.

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Lo Stato pose in essere una serie di interventi legislativi per definire e regolamentare l’istruzione e l’esercizio della levatrice, secondo un processo che portò ad una medicalizzazione del parto, ad una sostituzione delle stesse levatrici (donne dei ceti bassi o medio-bassi della popolazione) con ostetriche scolarizzate e subordinate ai medici e ai principi della scienza, dell’igiene e della salute pubblica da questi sostenuti. Si provvide, a tal fine, ad istituire nuove scuole di ostetricia: in Lombardia le istituzioni scolastiche per la formazione di levatrici risalivano al 1767, quando Maria Teresa incaricò i chirurghi di insegnare ostetricia alle donne, si trattava di scuole convitto con precise norme di ammissione dipendenti da un distretto universitario, annesse ad un ospizio di maternità o ad un ospedale e con corsi della durata di due anni universitari.

Come si può notare dalla cartina rappresentata all’interno del libro di Rosanna Basso nel Mezzogiorno d’Italia, escludendo le Isole solo Napoli aveva una Scuola di Ostetricia, poiché Bari e Catanzaro non sono mai state attivate.

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Le donne, per esservi ammesse, avrebbero dovuto avere un’età compresa tra i 18 e i 36 anni, la licenza di terza elementare ed un certificato di buona condotta rilasciato dal Comune.

Le ragazze risposero con entusiasmo a quest’attività e, impregnate di principi scientifici, iniziarono una battaglia contro le malattie e la febbre puerperale nel nome dell’igiene, adottando un comportamento talvolta asettico e distante, che impediva una comprensione ed empatia con la partoriente e con le condizioni di vita miserrime delle classi più umili.

Le ostetriche diplomate dovettero, inoltre, sostenere la concorrenza delle cosiddette abusive. Il regolamento Bonghi del 1876 aveva, infatti, permesso alle donne che già esercitavano la professione di levatrice, senza regolare abilitazione, di ottenere il diploma sottoponendosi al solo esame pratico, nel termine di tre anni dall’entrata in vigore della legge, prorogato fino al 1884. Questa sanatoria, che faceva fronte ad una situazione oggettiva di bisogno, creava però una coabitazione di opposte professionalità ispirata a principi talvolta antitetici che andava spesso a discapito delle diplomate, meno conosciute e, per mentalità, più lontane dalle esigenze dei luoghi.

downloadLa legge sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica del Governo Crispi del 1888 istituzionalizzò la professione della levatrice ed obbligò i Comuni a stipendiarle con l’obbligo di cura gratuita dei poveri, mentre le famiglie benestanti avrebbero dovuto pagare la levatrice per il servizio ricevuto. La legge previde l’emanazione di un regolamento applicativo l’ottobre del 1889 che introdusse l’obbligo, per le levatrici, di denunciare le malattie infettive e prescrisse un ulteriore regolamento, che non venne però emanato, al fine di specificare i limiti delle azioni permesse a queste donne. L’anno successivo un ulteriore regolamento (Regolamento speciale con istruzioni per l’esercizio ostetrico delle levatrici dei Comuni del Regno, Ministro dell’interno Crispi del 23 febbraio 1890) stabilì una serie di misure sanitarie, decretò l’obbligo della levatrice di chiamare il medico in caso di eventi irregolari durante il parto o di febbre elevata della puerpera e definì un registro in cui l’ostetrica avrebbe dovuto annotare i parti a cui aveva dato assistenza. Inoltre, allegò un elenco dettagliato di istruzioni sugli strumenti ed accessori da portare con sé, sui movimenti da compiere presso la partoriente, sulle cure igieniche da applicare alla madre e al bambino.

Il Codice Penale del 1888, inoltre, punì la procurata morte, l’occultamento e la sostituzione d’infante, il procurato aborto, e regolamentò il dovere della levatrice di fornire, nel caso in cui vi fosse una richiesta dell’autorità giudiziaria, chiarimenti ed informazioni circa diagnosi di gravidanza, di parto avvenuto, di età e situazioni di infanti abbandonati. Nel 1894 la Prefettura di Milano previde l’obbligo di denuncia a carico di medici e ostetriche dei casi di aborto per raccogliere statistiche e per non occultare aborti criminosi che a detta di alcuni avvenivano con il concorso delle stesse levatrici, ed autorizzò, per tutelare le situazioni di gravidanze illegittime, le levatrici a tenere a pensione partorienti, registrando questi pensionati e sottoponendoli a controlli igienici.

La legislazione, pertanto, procedeva nella strada della trasformazione delle comari o mammane in ostetriche professioniste, rispettose ed ossequiose dei principi della scienza e dei medici, ritenuti autorità indiscusse. Le condizioni di vita e di lavoro delle levatrici non erano, comunque, facili: la concorrenza con le abusive, gli scarsi stipendi pagati dai Comuni o il rifiuto di pagarle da parte di clienti, la mancanza di garanzia e sicurezza, poiché potevano essere rimosse in qualsiasi momento dal loro incarico, l’assenza del diritto alla pensione ed a forme di assicurazione in caso di malattia, nonché le numerose responsabilità addossate, portavano queste donne a lamentarsi.

Numerose sono, infatti, le lettere pubblicate sulla loro rivista, il «Giornale delle Levatrici» sorto nel 1886, nata per divulgare informazioni scientifiche, casi clinici interessanti, ma riportante anche varie critiche e lamentele. Esse nel 1888, fondarono la Società italiana delle levatrici per difendere, tutelare e garantire le addette, individuandole rispetto alle levatrici tradizionali e difendendo l’ideologia medica ufficiale che, nella gerarchia delle professioni sanitarie, faceva, però, dell’ostetrica una figura subordinata al medico.

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Come si può comprendere lo studio condotto da Rosanna Basso offre notevoli chiarimenti che coinvolgono differenti sensibilità con un’unica metodologia quella storica.

In tal senso questo lavoro analizza una storia, quella delle levatrici, che diventa un caso esemplare delle molteplici vicende che hanno trasformato la società d’ancien régime nel mondo contemporaneo. Uno sguardo trasversale che privilegia l’analisi storica e fornisce un’immagine di una figura professionale, che presenta una ricca gamma di sfumature e sfaccettature in cui convivono, accanto alle nuove acquisizioni professionali competenze e saperi antichi e consolidati. La scrittura femminile del corpo è, dunque, scrittura professionalizzata e politica: scrittura di difesa e non innovativa. Le levatrici non hanno fatto altro che rivendicare l’autonomia della propria sfera rispetto agli uomini: il mestiere di ostetrica apparteneva loro perché era da sempre interno al pudore femminile e la loro presenza nella comunità andava difesa davanti a chi tentava di ricomporre le levatrici in una gerarchia di assistenti subalterne al medico.

Katiuscia Di Rocco

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